Intervista con Augusto Fonseca , traduttore, scrittore, insegnante.

 

Fare una intervista ad una persona straordinaria è sempre un piacere immenso per me. Parlando con persone interessanti, si possono conoscere tante cose nuove. Allora mi fa un gran piacere che Augusto Fonseca ha trovato gentilmente il tempo per rispondere alle mie domande. Spero che questa intervista avrà veramente un successo come tutte le altre che avete già letto sulle pagine del mio sito.



Marina: Augusto, prima di tutto, vorrei chiederti come mai parli tante lingue? Come e perché è nata questa passione per le lingue e culture straniere?

Augusto: La mia conoscenza di un discreto numero di lingue deriva quasi in modo naturale da un percorso di studi e di vita che non mi sentirei di attribuire ad un disegno preciso e prefissato, quanto, invece, ad una serie di fattori e circostanze che, in luoghi e frangenti diversi, mi hanno di volta in volta portato a scelte, risultate poi ai miei occhi le migliori in quel dato momento.
Credo, comunque, che alla base di tutto questo vi siano state, tra l’altro, due caratteristiche del mio carattere: una grande “curiosità”, ovvero un grande desiderio di conoscenza, ed un incontenibile bisogno di vivere in comunicazione con quanta più gente possibile.


Marina: So che parli e conosci il francese, lo spagnolo, il macedone, il bulgaro, il serbocroato, ed anche il polacco. Come, perché e quando questa stupenda compagnia di lingue da te conosciute ha avuto anche la lingua russa? Perché hai deciso di imparare anche il russo?

Augusto: Per rispondere a questa domanda sono quasi costretto a fare un lungo discorso (e chiedo scusa se non riesco ad essere più conciso).
Ho iniziato gli studi superiori all’università di Genova, frequentando il corso di laurea in lettere, indirizzo classico, nell’intento di dare solida base allo studio delle lingue che mi aveva sempre affascinato e che avrei voluto successivamente affrontare. Avevo frequentato con successo due corsi biennali, spagnolo e tedesco (padroneggiavo già il francese che aveva studiato al ginnasio). Ero ormai in procinto di affrontare la tesi di laurea in lingua e letteratura spagnola, quando nella nostra facoltà venne introdotto l’insegnamento di lingua e letteratura russa.
Abbandonai immediatamente i preparativi per la tesi in spagnolo e, non potendo scegliere argomenti della cultura slava (campo che esulava dal mio corso di studi), riuscii a coinvolgere, come correlatore, il professore di russo in un altro progetto di tesi che riguardava la storia antica (“Apollonia Pontica”, oggi Sozopol, in Bulgaria: per una storia della colonia greca e romana). La maggior parte della letteratura specialistica era in russo (che io, dopo un corso accelerato di tre mesi a Genova nel 1959, coltivavo regolarmente come autodidatta) e in bulgaro (che imparai per quella circostanza), oltreché in tedesco, francese e, naturalmente, latino e greco. Conseguita la laurea in lettere classiche (1969), mi iscrissi al secondo anno del corso di lingua e letteratura russa, iniziando in tal modo anche lo studio del polacco. Le vicende successive del mio percorso di vita, di lavoro e di studi mi hanno permesso di soggiornare, dove più dove meno a lungo, in Bulgaria, in Unione Sovietica, in Polonia e nella ex Jugoslavia, consentendomi di farmi molti amici in diversi strati sociali grazie anche alla conoscenza delle lingue che nei vari Paesi venivo approfondendo: il russo, il bulgaro, il polacco, il macedone e il serbocroato, o croatoserbo, come si diceva una volta. Ecco in che senso prima ho detto che all’origine della mia conoscenza delle lingue non c’è stato nessun disegno, nessun progetto intenzionalmente perseguito.



Marina: Correggimi se sbaglio, ma la tua prima visita in Unione Sovietica l’hai fatta nell’autunno del 1963. Come l’hai vista la Russia di quel periodo? La Russia che in quei tempi, ormai così lontani, si chiamava urss e per molti era un paese chiuso e faceva paura. Come era l’ urss che hai visto tu? La gente sovietica di quei tempi, le città, come erano? Cosa hai notato di particolare in quel viaggio?

Augusto: Il 1963 è stato l’anno della conclusione dei miei studi liceali, coronati da un superamento degli esami con la media di otto decimi. Questo mi ha consentito anche, quale premio da parte dei miei fratelli, il coronamento di un particolare sogno giovanile che da un paio di anni coltivavo con un caro amico (Antonio Federico, oggi professore universitario e studioso di fama internazionale nel campo della geotecnica): un viaggio nei Paesi d’oltre cortina. La paura, che ha contraddistinto non solo l’Unione Sovietica, ma anche tutti gli altri Paesi della sua sfera d’influenza ed ha roso e corroso svariate generazioni all’interno di quei Paesi, per noi, invece, costituiva quasi una sfida, un legittimo sospetto sulla veridicità informativa derivante dalla propaganda sia a favore sia contro il sistema comunista e sovietico, ed accresceva l’obiettiva esigenza di conoscere le reali condizioni sociali, economiche e politiche di quelle popolazioni.
Il nostro viaggio, in treno, realizzato dall’agenzia russa “Inturist”, si svolse nel corso di quindici giorni nel settembre del ’63 con un gruppo di una sessantina di persone provenienti da tutta Italia e con tappe a Budapest, Kiev e Mosca. Come per tutti i viaggi di gruppo, le visite nelle città erano gestite da guide ufficiali, ma per me e il mio amico non raramente accadeva di allontanarci, grazie anche alla mia elementare conoscenza del russo. A parte la scontata meraviglia e l’innegabile fascino che esercitarono le città con i monumenti, palazzi, chiese, piazze, fontane, musei, teatri, musica e spettacoli, quello che più di ogni altra cosa lasciò in noi tracce quasi indelebili furono le onnipresenti “code”, i fiumi di gente a piedi per le strade, la calca alle fermate dei mezzi pubblici e una triste monotonia nell’abbigliamento e nell’espressione dei volti delle persone, un traffico stradale costituito in prevalenza da autobus, filobus (per la prima volta vidi una donna alla guida di un mezzo pubblico), tassì e autocarri, anch’essi monotoni nelle forme e nei colori. Per un altro verso, devo dire pure che forte e gradita è stata l’impressione avuta in tutti gli incontri, casuali e individuali, organizzati e pubblici, in diversi luoghi e ambienti: ovunque era evidente la socialità, la simpatia, l’allegria e la grande disponibilità della gente, appena scoprivano che di fronte avevano degli interlocutori italiani.


Marina: Per una persona che ha fatto numerosi viaggi, che ha vissuto, studiato e lavorato a lungo in diverse parti del mondo, cosa ci poteva essere di tanto interessante proprio in urss? C’era qualcosa di particolare che non hai trovato o visto negli altri paesi, ma l’hai trovato qui da noi?

Augusto: Desidero subito puntualizzare che i Paesi in cui ho tanto viaggiato sono tutti nel mondo orientale e quasi tutti di lingua e cultura slava, ad esclusione di Ungheria, Estonia, Turchia e Grecia. I soggiorni più lunghi, per ragioni di lavoro, e le frequentazioni, per ragioni di famiglia (mia moglie è polacca, come polacca è stata pure la prima moglie), sono avvenuti, in ordine crescente, in Unione Sovietica, Polonia ed ex Jugoslavia. L’interesse per la storia, cultura e lingua di quei Paesi era motivato prevalentemente dal mio orientamento professionale slavistico, indirizzo didattica e traduzione letteraria, che solo in quei luoghi, naturalmente, avrei potuto praticare. Non posso, tuttavia, nascondere una profonda simpatia derivante da orientamenti ideologici, ben radicati nella mia famiglia, che hanno sempre guardato con favore alle idee del socialismo. Dopo l’esperienza di Leningrado (novembre 1971 - luglio 1973), infatti, la mia candidatura era stata proposta a lettorati universitari di tre Paesi: Germania Federale, Spagna e Jugoslavia. Risposero positivamente, nell’ordine, la Germania e la Spagna, ma io, prima all’una e poi all’altra, convintamente rinunciai e volli attendere fino a quando, verso la fine di novembre, ebbi comunicazione che la candidatura in Jugoslavia era stata accolta, presso l’Università di Skopje.

 


Marina:Quali città dell’Unione Sovietica sei riuscito a visitare e cosa ti ha colpito di più in queste città?

Augusto: Leningrado, con la sua storia terribile ed eroica, con le sue notti bianche (d’estate) e i giorni neri (d’inverno!), gli splendidi palazzi, i monumenti, i parchi, i canali, le chiese, i musei, le biblioteche e i teatri; Leningrado, dunque, mi ha ospitato per due anni, consentendomi un arricchimento culturale ed umano che ha segnato una delle tappe fondamentali della mia vita. Molto caro mi rimane il ricordo dei miei studenti con i quali c’è stato un sincero rapporto di reciproca stima e amicizia. Mi colpiva il loro impegno e serietà di studio della lingua italiana, intesa non come materia di esame, ma come autentico interesse culturale. E poi le passeggiate fatte in loro compagnia per i canali e i ponti di Leningrado, le frequenti escursioni nelle incantevoli Puškin, Pjetrodvorjèts, Pavlovsk e nel grazioso centro di Sestrorjètsk, in cui ho praticato (con tante simpatiche avventure) l’equitazione. Di quel soggiorno potrei non finire mai di parlare, considerato anche il frequente incorrere in difficoltà di vario genere, connesse con la specificità del sistema comunista sovietico. Voglio, invece, menzionare almeno la straordinaria fortuna, che ritengo esperienza unica, preziosa e cara come una reliquia, di aver trascorso giorni e giorni ad ammirare capolavori d’arte nelle meravigliose saledell’Ermitage.
Ho viaggiato all’interno dell’urss assai spesso in aereo, ma ho avuto anche modo di impiegare il treno, la corriera e il battello. Nell’inverno del 1971 ho trascorso una settimana, toccando le capitali di Estonia, Lettonia e Lituania (Tallin, Riga Vilnius). A distanza di più di tre decenni i ricordi affiorano comprensibilmente sbiaditi ed incerti, ma non posso dimenticare le note incantevoli prodotte dal famoso organo nel Duomo di Riga, dopo un’attesa di un paio d’ore di coda al freddo per il biglietto. Come pure non dimenticherò mai i magici colori rosa-dorati del sole che, filtrando dal non lontano bosco di betulle, giungevano al tramonto sul lago di Trakaj, antica capitale della Lituania. E neppure dimenticherò, una mattina dell’inverno successivo, il cielo azzurro e limpido, e il freddo gelido e tagliente (40° C sotto zero!), con cui la città di Irkutsk ci dette il benvenuto già mentre scendevamo dall’aereo (eravamo un gruppo di lettori e studenti stranieri dell’Università di Leningrado). Forte impressione mi fece il lago Bajkal, su cui vedevo muoversi un paio di veicoli e diverse persone, mentre io con circospezione estrema dalla riva cercavo di toccare con i piedi la superficie ghiacciata. Ma non è possibile in questa circostanza continuare con reminiscenze, sia pure per brevi cenni, legate alle visite effettuate in varie altre città, quali Novgorod, Pskov, Baku, Samarkanda, Taškent, Buharà, Jèrevan, Odessa, Tbilisi (qui, nella capitale della Georgia, detto di sfuggita, ebbi conferma della percezione che hanno i russi dello spazio. Avevo chiesto ad un signore per strada dove si trovasse il Ministero degli Esteri. “Non lontano, sempre su questo viale” mi rispose. “Ho premura, quale autobus posso prendere?” replicai. “Ma no, sono appena due passi, dva šagà!”. Giunto a destinazione dopo una bella sudata - era di maggio- contai quattro fermate d’autobus!).
Una cosa che mi pare opportuno rilevare è che (a quei tempi, non so adesso) in tutto lo sterminato territorio sovietico alcuni tratti tipici del sistema erano riscontrabili immancabilmente in qualsiasi città. Ne presento solo due: le code e l’alcolismo.
Una volta, credo intorno agli anni ‘80, delle code Alberto Moravia fece un elogio assai improbabile sul Corriere della sera, presentandole addirittura come occasioni di “crescita culturale”, in quanto aveva osservato che quasi tutti coloro che facevano la fila impiegavano “costruttivamente” il tempo leggendo qualche libro. Cosa che, ad onor del vero, ho fatto quasi quotidianamente anch’io, ma senza riuscire a cogliere alcuna funzione “civilizzante” in quella forma di lentissima e umiliante attesa per il raggiungimento di un qualsiasi servizio pubblico.
Quanto al facile bere, mi aveva sempre procurato profonda pena osservare non rari casi di persone (anziani, giovani e giovanissimi) sdraiate su panchine o giacenti sui marciapiedi a smaltire la sbornia in qualsiasi periodo dell’anno. E questo non può essere spiegato, se non scherzosamente, con le parole che pronunciò Vladimir il Grande al momento in cui scelse per il suo popolo il cristianesimo a preferenza dell’islam (che vietava il consumo di alcol):“il bere è la gioia dei russi”!


Marina: Quando è stata l’ultima volta che hai soggiornato in Unione Sovietica?

Augusto: Dopo due anni di lavoro come lettore di lingua e letteratura italiana all’Università di Leningrado (sarò pure nostalgico, ma non riesco a chiamare quella città “San Pietroburgo”! Al massimo, e solo familiarmente, “Piter”!), ho lasciato l’Unione Sovietica nel luglio del 1973, e non vi sono mai più tornato. Il viaggio di ritorno definitivo mi sembrò quasi un premio, considerato che potei usufruire di una straordinaria crociera con la motonave “Latvia” che, partendo da Odessa, toccò, anche se per poche ore, delle splendide città costiere del Mar Nero e del Mediterraneo: Varna, Burgas, Atene, e attraverso il canale di Corinto, Dubrovnik, Venezia e Bari (meta del mio viaggio).

 


Marina: Augusto, hai avuto negli ultimi anni la possibilità di tornare da queste parti, nel paese che ora tutti noi chiamiamo con un altro nome – la Russia?

Augusto: No, purtroppo! E lo dico con grande rammarico. Con grande piacere frequenterei in Russia qualche seminario di aggiornamento linguistico per traduttori letterari. Conservo in quell’enorme Paese molti cari ricordi personali legati a luoghi e persone conosciuti durante il mio soggiorno di lavoro all’università, come pure inoccasione di viaggi in molte località storiche e turistiche dell’URSS.


Marina: Tu hai visto il mio paese in diverse epoche. Cosa è migliorato e cosa è peggiorato, secondo te?

Augusto: Non ho notato grande differenza fra i primi anni ’60 e i primi anni ’70, periodi della mia esperienza in urss. Negli anni successivi le notizie e informazioni sull’Unione Sovietica sono state quelle ricavate unicamente dalla stampa e dalla radiotelevisione, sicché le mie personali impressioni sull’attuale Federazione Russa non possono avere nulla di originale. Tuttavia, molti fatti della cronaca politica, economica e sociale degli ultimi anni permettono di pensare che in Russia, come pure in molti Stati dell’ex urss, è iniziato (tra molte, e talora assai gravi, contraddizioni) un processo irreversibile di democratizzazione della società e di attenzione (sia pure a grande fatica) per i diritti del cittadino, che la modernizzazione delle condizioni di vita e dei rapporti politico-sociali sull’intero pianeta fanno emergere in modo ineludibile e in misura sempre crescente e sempre più articolata.


Marina: La Russia in cinque parole, come la descriveresti tu?

Augusto: Misteriosa, profondamente contraddittoria, sorprendente e affascinante.

 

Marina:Tra i tuoi progetti c’è qualcosa dedicato alla Russia?
Pensi di poter pubblicare in italiano qualche opera di scrittori russi in tua traduzione?

Augusto: Nei primissimi anni ‘90 mi aveva incuriosito la scrittura di Sjerghiej Anatol’jevič Sjedov del quale un mio amico di Novi Sad (già collega a Leningrado quale lettore di serbocroato e traduttore dal russo) mi aveva fatto avere in fotocopia il divertente libretto “Žil-byl Ljoša” (1991). Ho cercato in seguito di ottenere maggiori informazioni sull’autore, ma invano (anche se di recente, e solo grazie a te, Marina, ci sono riuscito). Nel frattempo, però, mi ero imbattuto nella straordinaria odissea dello scrittore e pensatore ebreo russo Julij Borissovič Margolin, che narra delle vicende patite in cinque anni di internamento in diversi campi sovietici di lavoro correttivo nel periodo della tragica e opprimente realtà onnipresente nell’urss degli anni precedenti e seguenti alla seconda guerra mondiale. La sua lettura mi hatalmente coinvolto, che ho deciso di includerlo nel progetto delle traduzioni per la Collana Slavica che curo presso un piccolo editore della mia provincia. Il lavoro della traduzione procede lentamente (ne ho realizzato appena un terzo, e si tratta di più di 600 pagine!), soprattutto per difficoltà di carattere finanziario. In realtà, considerato che i libri della collana vengono stampati a mie spese, sono costretto ad operare delle priorità in relazione all’incidenza dei costi e della disponibilità di eventuali sponsor. Ma il mio sogno, alimentato da una forte passione e da una profonda stima per l’autore e la sua opera, è di riuscire a pubblicarlo al più tardi entro il 2010.


Marina: Quali consigli vorresti dare agli italiani che progettano di venire in Russia?

Augusto: Mi limiterei ad un unico suggerimento, dopo la breve premessa che il visitatore di un Paese straniero, a mio avviso, è mosso o da forti interessi materiali o da puro desiderio di conoscenza. In generale, non solo nel caso di una visita in Russia, ritengo assai utile e gratificante, oltreché un bel gesto di cortesia nei confronti dei padroni di casa, l’acquisizione di informazioni generali sul Paese ed i luoghi che si intendono visitare e l’apprendimento di alcuni termini e brevi espressioni della lingua di uso quotidiano. Ciò contribuisce a creare un rapporto di simpatia reciproca, in quanto il padrone di casa apprezza l’impegno che per avvicinarsi a lui impiega l’ospite, mentre quest’ultimo ha modo di sperimentare la disponibilità all’accoglienza del padrone di casa. Per quanto mi riguarda, conservo e coltivo diversi rapporti d’amicizia che nell’arco degli anni vissuti nei Paesi slavi hanno avuto un’origine del tutto casuale per poi divenire preziosi e stabili punti di riferimento fino al giorno d’oggi.

18 novembre, 2008

Inviate pure i vostri commenti all'indirizzo di Augusto Fonseca. Visitate anche il sito di Augusto Fonseca www.collanaslavica.info . Sito contenente in prevalenza opere tradotte da diverse lingue slave, concernenti testimonianze e memoriali su Lager e Gulag.

A conclusione dell’intervista ad Augusto Fonseca riportiamo due sue poesie (tratte dal libro Aperta la parentesi, Ragusa 1989) con molti riferimenti a Leningrado:


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