|  Michail Jurevic Lermontov (1814-1841) | 
| Meditazione 
 Io con tristezza guardo la mia generazione! Il suo futuro è vuoto oppure oscuro; sotto il fardello intanto di conoscenza e dubbio, si farà vecchia nell’inerzia. Siam ricchi, appena usciamo dalla culla, degli errori dei padri, del loro tardo senno, e la vita ci opprime già come strada eguale, senza meta, o banchetto a una festa d’altrui. 
 Ontosamente al bene e al male indifferenti, sul primo della giostra cediamo senza lotta, ignominiosamente vili innanzi al periglio e davanti al potere abbietti schiavi. Così il frutto anzitempo maturato, senza allegrarci il gusto né con gli occhi, in mezzo ai fiori perde straniero e solo, ed una è l’ora della loro bellezza e della sua caduta.! 
 Con infeconda scienza ci inaridiamo il cuore, nascondendo gelosi ai prossimi e agli amici le migliori speranze e la nobile voce delle passioni, cui l’incredulo deride. Sfiorato appena abbiamo la coppa del piacere, ma le giovani forze non perciò conservato; la sazietà temendo, da ogni gioia per sempre il miglior succo abbiamo tratto. 
 Sogni di poesia, creazioni dell’arte con dolce estasi a noi non agitano la mente; cupidi in noi serbiamo un resto di sentire – inutile tesoro dall’avaro interrato. E odiamo casualmente e casualmente amiamo, nulla sacrificando né all’odio né all’amore, e ci regna nell’animo una tal segreto gelo seppur fuoco bolla nelle vene. Ci tediano dei padri i fastosi diletti, il lor libertinaggio coscienzioso, infantile; e senza gioia e gloria ci affrettiamo alla tomba beffardamente riguardando indietro. 
 Malinconica turba presto dimenticata, passeremo sul mondo senza rumore e traccia, senza gettare ai secoli né il pensiero fecondo né l’opera dal genio cominciata. Ed il nostro cenere, qual severo giudice e cittadino, oltraggerà i futuri come sprezzante verso, come lo schermo amaro del figliuolo ingannato sul padre suo scialacquatore. 
 ( trad. di T. Landolfi) |  | 
| Solitario io esco sulla strada
 Solitario io esco sulla strada; splende tra la foschia la via sassosa; calma è la notte. Si affisa in Dio il deserto. E stella parla a stella. 
 In alto il cielo è solenne e mirabile! Dorme la terra in un fulgore azzurro… Cosa dunque mi tormenta e m’angoscia? C’è qualcosa che attendo, che rimpiango? 
 Già non attendo io nulla dalla vita, e del passato non rimpiango nulla. Vado cercando libertà e quiete! Vorrei scordare me stesso, dormire, 
 e non del freddo sonno del sepolcro… sì, per sempre dormire, ma che in seno riposino le forze della vita, e il petto, nel respiro, si alzi lieve; 
 che una tenera voce, notte e dì, mi carezzi l’udito, canti amore, e reclini e stormisca bruna quercia su di me, verdeggiando in eterno. 
 ( trad. di M. Colucci) |  | 
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